Il 22 ottobre scorso sono entrate in vigore le disposizioni che prevedono un innalzamento degli importi oltre i quali gli omessi versamenti iva e ritenute configurano un reato penale.
In particolare:
- l’omesso versamento Iva resta reato, ma solo al superamento di una soglia di punibilità elevata a più di 250.000 euro (in sostituzione del vecchio limite di 50.000 euro)
- passa, invece, a più di 150.000 euro (dai vecchi 50.000) la soglia di punibilità per la fattispecie di omesso versamento di ritenute certificate, in relazione alla quale si precisa che le ritenute sono non solo quelle risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, ma anche quelle “dovute sulla base della stessa dichiarazione” (fedelmente presentata).
In relazioni a tali modifiche per omessi versamenti iva e ritenute, in quanto favorevoli al contribuente, trova certamente applicazione il principio del favor rei secondo il quale “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”.
In forza del richiamato principio, quindi, saranno al riparo dal “rischio penale” quelle imprese e quei professionisti che, prima dell’entrata in vigore delle nuove norme (22 ottobre 2015), relativamente ad iva e ritenute hanno:
- omesso di versare ritenute d’acconto per importi superiori ai 50.000 euro, purché inferiori alla nuova soglia di 150.000 euro (articolo 10-bis);
- non hanno versato l’Iva dovuta per l’anno 2014 se di importo non superiore ai 250.000 euro (articolo 10-ter).
Di particolare importanza anche la nuova previsione che impatta sulle cause di non punibilità, per la quale:
- gli omessi versamenti di Iva e di ritenute oltre la soglia di rilevanza penale, non saranno punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, verranno estinti con integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso;
- se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini della circostanza attenuante correlata al pagamento del debito tributario, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo e la prescrizione è sospesa. Il giudice in questo caso può prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, se lo ritiene necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione.
Il reato penale per indebite compensazioni
Modifiche rilevanti intervengono anche per quanto riguarda la fattispecie di indebita compensazione di crediti fiscali prevista dall’articolo10-quater, D.Lgs. 74/2000.
Ferma restando la precedente soglia dei 50.000 euro, al di sopra della quale la indebita compensazione orizzontale di crediti fiscali configura reato penale, il citato decreto di riforma apporta una distinzione tra:
- crediti non spettanti, per i quali la sanzione prevista resta la reclusione da 6 mesi a 2 anni;
- crediti inesistenti, per i quali la sanzione prevista sale da 18 mesi a 6 anni.
In questo ambito particolare attenzione va posta alla disposizione riguardante le cause di non punibilità in precedenza descritte: solo le ipotesi di utilizzo di credito non spettanti (e non anche quelle riferite a crediti inesistenti) saranno considerate non punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, verranno estinti con integrale pagamento degli importi dovuti.
Lo studio rimane a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti.