La rettifica della fattura emessa senza indicazione del numero di partita IVA del cedente o prestatore consente l’esercizio della detrazione rispetto al momento di effettuazione dell’operazione, coincidente con quello di emissione della fattura, e non rispetto al momento (successivo) in cui la fattura è corretta, anche se, nel frattempo, le Autorità fiscali hanno emesso un avviso di rettifica dell’imposta detratta.

Con questa conclusione, raggiunta dalla Corte di giustizia nella sentenza di cui alla causa C-518/14 del 15 settembre 2016, è stata ammessa la possibilità di rettificare il contenuto della fattura con effetti ex tunc sull’esercizio della detrazione.

Nel caso considerato, le fatture emesse negli anni 2009-2011 non riportavano né il codice fiscale, né il numero di identificazione ai fini IVA dei fornitori. Nell’anno 2013, a seguito di una verifica fiscale nei confronti del destinatario di tali documenti, le fatture sono state integrate con i dati mancanti, ma le Autorità fiscali tedesche hanno comunque escluso l’esercizio della detrazione sostenendo che le condizioni per il recupero dell’imposta non risultavano soddisfatte nel momento di effettuazione dell’operazione.

Alla Corte di giustizia è stato, pertanto, chiesto se la detrazione sia ammessa nell’anno della correzione e non in quello, anteriore, di emissione della fattura errata o incompleta, qualora la fattura originaria venga rettificata dopo che le Autorità fiscali hanno emesso un avviso di rettifica dell’imposta detratta.

Nell’esaminare la questione, i giudici comunitari hanno nuovamente ribadito che il diritto alla detrazione presuppone, dal punto di vista sostanziale, il rispetto della condizione prevista dall’art. 168 della Direttiva n. 2006/112/CE, vale a dire che i beni/servizi acquistati siano utilizzati per compiere operazioni soggette ad imposta. Le condizioni per l’esercizio della detrazione previste dall’art. 178 della Direttiva, tra cui il possesso di una fattura regolare (nella specie, contenente il codice identificativo IVA del cedente/prestatore), hanno carattere soltanto formale, in quanto non determinano la nascita del relativo diritto, ma sono finalizzate a consentire alle Autorità fiscali di disporre di tutte le informazioni necessarie per riscuotere l’IVA ed esercitare i controlli anti-frode. Del resto, l’art. 219 della Direttiva prevede la possibilità di rettificare la fattura al fine di detrarre l’imposta anche nell’ipotesi in cui le Autorità fiscali, nel corso di una verifica fiscale, constatino l’esistenza di errori od omissioni nel momento di emissione del documento.

Tali indicazioni sono coerenti con l’orientamento costantemente espresso dalla Corte di giustizia, in base al quale la neutralità dell’imposta esige che la detrazione possa essere esercitata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti anche quando gli obblighi formali non sono stati rispettati e, nel caso di specie, non solo le condizioni sostanziali risultano soddisfatte, ma la violazione della condizione formale, rappresentata dall’omessa indicazione in fattura del numero di identificazione IVA del fornitore, è stata regolarizzata dal soggetto passivo, sia pure dopo l’emissione dell’avviso di accertamento.

Nella sentenza in commento, si afferma pertanto che la disciplina comunitaria osta “ad una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale la rettifica di una fattura avente ad oggetto un’indicazione obbligatoria, ossia il numero d’identificazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, non produce effetto retroattivo, cosicché il diritto a detrazione di tale imposta esercitato sulla base della fattura rettificata non verte sull’anno in cui tale fattura è stata inizialmente emessa, ma sull’anno in cui tale fattura è stata rettificata”.

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