La Cassazione torna sulla distinzione tra spese di rappresentanza e di pubblicità in merito alla deducibilità fiscale delle operazioni di sponsorizzazione.

Parlare di spese di rappresentanza e di spese di pubblicità, ai fini della deducibilità fiscale, non significa parlare del medesimo concetto giuridico, sebbene il limite tra le due tipologie di spesa sia, in realtà, sottilissimo e non sempre facile da definire. In questo senso, ricorrono in aiuto del professionista e dell’impresa, la normativa e la giurisprudenza di legittimità che, con la sentenza n. 20154 del 7 ottobre scorso, è ritornata sul punto, con specifico riferimento alle spese sostenute nell’attività di sponsorizzazione di terzi, offrendo maggiori chiarimenti in materia.

Differenza in termini fiscali tra spese di rappresentanza e di pubblicità

Il riferimento normativo, in materia di differenziazione tra spese di rappresentanza e pubblicità ai fini della deducibilità fiscale, è l’art. 108 comma 2 e 3 del Tuir (ex art. 74, modificato dalla L. 24/12/2007 n. 244), in base al quale, mentre le spese di pubblicità e propaganda sono deducibili interamente nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei 4 successivi, le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento, solo se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse, del volume dei ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa e dell’attività internazionale della stessa. Sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50. L’Iva è detraibile nella misura del 50%.

In altre parole, secondo la disposizione normativa del TUIR, le spese di pubblicità e propaganda sono interamente deducibili (al 100%) nell’esercizio in cui sono sostenute, mentre le spese di rappresentanza sono deducibili solo parzialmente dal reddito e solo quando ricorrono i requisiti di inerenza e congruità con l’attività d’impresa.

Questa la differenza sulla deducibilità delle due tipologie di spesa, maggiori precisazioni sulla difformità concettuale tra spese di pubblicità o propaganda e spese di rappresentanza sono invece fornite dall’ R.M. n°148 del 17/09/1998 dell’Agenzia delle Entrate.

Nel suddetto provvedimento, l’AGE spiega che ricorrono operazioni di pubblicità o propaganda ogni qual volta si realizzino iniziative tese a portare a conoscenza dei consumatori l’offerta del prodotto/ servizio, al fine di intensificarne la domanda, mentre sono da ricondurre alla rappresentanza le operazioni tese ad  offrire al pubblico una immagine positiva dell’impresa e della sua attività, in termini di organizzazione e di efficienza, sempre che siano inerenti con l’attività svolta.

Sui concetti di “inerenza”, “gratuità” e “controprestazione”

Il DMEF del 19 novembre 2008 precisa poi il concetto di inerenza, specificando che si considerano inerenti, sempreché effettivamente sostenute e documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore. Inoltre, il medesimo decreto afferma che il carattere fondamentale delle spese di rappresentanza, rispetto a quelle di pubblicità, è costituito dall’assenza di un corrispettivo o di una specifica controprestazione da parte dei destinatari dei beni e servizi erogati. Pertanto, devono concretamente essere ritenute spese di rappresentanza (in cui rientrano anche le attività di pubbliche relazioni), quelle sostenute per viaggi turistici, in occasione dei quali siano pianificate e concretamente realizzate attività tese alla promozione di beni o di servizi, la cui produzione o il cui scambio costituisce oggetto dell’attività propria dell’impresa o anche le spese per feste o ricevimenti organizzati, in occasione di ricorrenze aziendali, inaugurazioni di nuovi uffici, sedi, ecc, spese sostenute per organizzare mostre, fiere, seminari o convegni dove sono esposti o presentati i prodotti/servizi dell’impresa. Sono tuttavia escluse dalle spese di rappresentanza, quelle relative a viaggio, vitto, alloggio, sostenute per ospitare i clienti, potenziali clienti o altri soggetti interessati, in occasione di eventi, fiere, esposizioni o manifestazioni organizzate al fine di promuovere l’impresa o i suoi prodotti/servizi, come sono escluse quelle di vitto, alloggio, viaggio sostenute direttamente dall’imprenditore in tali occasioni.

I chiarimenti relativi alle spese di pubblicità sono offerti dalla  Circolare del 2009 n. 34/E dell’AGE, in base alla quale, mentre le spese di rappresentanza si caratterizzano per la loro naturale gratuità, quindi assenza di una controprestazione da parte dei destinatari dell’operazione svolta, quelle di pubblicità o propaganda,  per essere inquadrate fiscalmente come tali, devono basarsi su un contratto a prestazioni corrispettive, la cui causa va ricercata nell’obbligo della controparte di pubblicizzare/propagandare – a fronte di un corrispettivo – il marchio e/o il prodotto dell’impresa, al fine di suscitarne l’acquisto.

In sintesi dunque si può affermare che:

  1. le spese relative alla rappresentanza sono quelle affrontate per accrescere meramente l’immagine e il prestigio della società;
  2. le spese di pubblicità (o propaganda) sono quelle destinate alla realizzazione di iniziative, tendenti prevalentemente alla promozione di prodotti, marchi o servizi comunque inerenti l’attività svolta dall’impresa per indurre il potenziale acquirente all’acquisto.

Le pronunce della Cassazione

Sulla distinzione tra spese di rappresentanza e pubblicità si è pronunciata anche la Corte di Cassazione che ha stabilito, secondo un orientamento oramai costante che in tema di imposte sui redditi delle persone giuridiche, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 108 (ex art. 74, comma 2), il criterio che differenzia le spese di rappresentanza e di pubblicità va individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi, in tal senso costituiscono spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre sono spese di pubblicità o propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque al fine diretto di incrementare le vendite (Cass. 16812/14; 15318/14; 15183/14).

In relazione, nello specifico, alle spese sostenute per le attività di sponsorizzazione, la Cassazione ha chiarito che spetta al contribuente provare che l’attività sponsorizzata sia riconducibile ad una diretta aspettativa di ritorno commerciale (Cass. n. 27482/14; n. 14252/14; 3433/12 e da ultimo Cass. n. 20154/2016). Solo quando il contribuente offre, oltre alla prova dell’inerenza con l’attività d’impresa, anche la prova reale che il fine dell’operazione di sponsorizzazione è quello dell’incremento del reddito dell’impresa, allora tali spese possono considerarsi spese di pubblicità e come tali interamente deducibili, diversamente, ovvero, dove manchi la prova delle potenziali utilità e dei vantaggi della sponsorizzazione rispetto al reddito d’impresa, la spesa relativa va inclusa tra quelle di rappresentanza (Cass. n. 24065/2011). Così un’impresa che intenda ricondurre alle spese di pubblicità, quelle relative ad un’attività di sponsorizzazione svoltasi all’estero, in modo da poterle dedurre al 100%, deve provare, ad esempio, che tale operazione è svolta al fine di estendere l’attività d’impresa ad altri territori, in termini di ampliamento della rete dei clienti e di potenziale incremento dei ricavi (Cass. n. 20154/2016).

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