Con la risoluzione n. 46/E del 22 giugno 2018 l’Agenzia delle entrate interviene per chiarire l’applicazione concreta del credito d’imposta per ricerca e sviluppo, con riferimento agli investimenti agevolabili in tema di innovazione tecnologica e digitale.

Il credito d’imposta

L’articolo 3 del D.L. 145/2013, più volte modificato successivamente (da ultimo con la Legge di Stabilità per il 2017), riconosce a tutte le imprese che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo, “a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello incorso al 31 dicembre 2020”, un credito di imposta per investimenti in misura pari al 50% “delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media dei medesimi investimenti realizzati nei tre periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015”.

Sono destinatari dell’agevolazione:

  • tutti i soggetti titolari di reddito d’impresa (imprese, enti non commerciali, consorzi e reti d’impresa), indipendentemente dalla natura giuridica, dalla dimensione aziendale e dal settore economico in cui operano;
  • imprese italiane o imprese residenti all’estero con stabile organizzazione sul territorio italiano che svolgono attività di ricerca e sviluppo in proprio o commissionano attività di ricerca e sviluppo;
  • imprese italiane o imprese residenti all’estero con stabile organizzazione sul territorio italiano che svolgono attività di ricerca e sviluppo su commissione da parte di imprese residenti all’estero.

Il beneficio è cumulabile con:

  • superammortamento e iperammortamento;
  • nuova Sabatini;
  • Patent Box;
  • incentivi alla patrimonializzazione delle imprese (Ace);
  • incentivi agli investimenti in start up e pmi innovative;
  • fondo centrale di garanzia.

Le tipologie di spesa agevolabili sono quattro, definite dal D.M. 27 maggio 2015 attuativo:

  1. personale altamente qualificato impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo, in possesso di un titolo di dottore di ricerca, ovvero iscritto a un ciclo di dottorato presso una università italiana o estera, ovvero in possesso di laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico;
  2. quote di ammortamento delle spese di acquisizione o utilizzazione di strumenti e attrezzature di laboratorio, in relazione alla misura e al periodo di utilizzo per l’attività di ricerca e sviluppo;
  3. spese relative a contratti di ricerca stipulati con università, enti di ricerca e organismi equiparati, e con altre imprese, comprese le start-up innovative;
  4. competenze tecniche e privative industriali relative a un’invenzione industriale o biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale, anche acquisite da fonti esterne.

 

I chiarimenti della risoluzione n. 46/E/2018

Con la recente risoluzione n. 46/E/2018 pubblicata il 22 giugno 2018 l’Agenzia delle entrate, rispondendo a un interpello presentato da un’impresa, coglie l’occasione per esprimersi sul tema.

Il caso esaminato riguarda un contribuente la cui attività principale consiste “nell’organizzazione, in modo diretto o indiretto, anche per il tramite di società partecipate o soggetti terzi, di manifestazioni ed eventi fieristici”, attività che si inquadrano, costituendone attuazione, in un ampio programma di riorganizzazione del processo aziendale in una logica di smart factory.

Tale attività è stata ottenuta tramite l’adozione e l’introduzione di numerose tecnologie di avanguardia, che però risultavano già disponibili e ampiamente diffuse in tutti i settori economici (incluso quello dei servizi) per accompagnare e realizzare la trasformazione tecnologica e la digitalizzazione dei processi produttivi secondo il paradigma “Industria 4.0”.

Pertanto, l’Amministrazione finanziaria conclude che gli investimenti in questione non possano qualificarsi come attività di ricerca e sviluppo nell’accezione rilevante agli effetti della disciplina del credito di imposta.

Mancano sia il requisito della novità che il requisito del rischio finanziario (nonché d’insuccesso tecnico) che dovrebbero caratterizzare tipicamente gli investimenti in ricerca e sviluppo.

Si tratta quindi di ordinarie attività realizzative di un programma di investimenti in capitale fisso; vale a dire, investimenti in beni strumentali (materiali e immateriali) direttamente impiegati nella realizzazione delle attività caratteristiche dell’impresa e in quanto tali trattati sul piano economico-patrimoniale nonché in sede di rappresentazioni di bilancio alla stregua di immobilizzazioni.

Tali conclusioni valgono anche con riferimento alla parte degli investimenti concernente le immobilizzazioni immateriali, quali l’acquisizione di licenze di software e lo sviluppo di software preesistenti o nuovi a servizio della particolare attività caratteristica.

Più in generale, viene precisato che non costituiscono attività di ricerca e sviluppo, tra le altre,

  • le attività concernenti lo sviluppo di software applicativi e di sistemi informativi aziendali che utilizzino metodi conosciuti e strumenti software esistenti;
  • l’aggiunta di nuove funzionalità per l’utente a programmi applicativi esistenti;
  • la creazione di siti web o software utilizzando strumenti esistenti;
  • l’utilizzo di metodi standard di criptazione, verifica della sicurezza e test di integrità dei dati;
  • la “customizzazione” di prodotti per un particolare uso.

 

Lo studio rimane a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti.

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